Elena, Valentina, Svetlana, storie di donne coraggio
Il ciclo Storie di donne coraggiose all’Argot chiude con «Monologhi dell’atomica», dramma interpretato e a cura di Elena Arvigo. Come sempre le accade, Arvigo fa tutto da sé: coraggio, stando a quello che è il nostro teatro, per prima lo ha proprio lei, Elena. La chiamo per nome perché a Elena mi sono affezionato, la stimo come pochissime attrici italiane. Andando all’Argot è a lei che pensavo, non già al premio Nobel di cui avrei ascoltato le parole, Svetlana Aleksievich. Ero ingiusto? Sì, ero ingiusto – perché della scrittrice bielorussa avevo letto poco, dai suoi libri non ero attratto in modo particolare. Ma tra le sue parole e l’attenzione, la passione, la capacità di immedesimazione di Elena Arvigo la verità è che ho avuto la fortuna di assistere a uno spettacolo degno di una capitale. Non sottolineerò più di tanto come ciò sia accaduto in un piccolo teatro, non già all’Argentina, all’India, all’Eliseo e neppure al Vascello. Elena, dal libro «Preghiera per Cernobyl», ci racconta una storia – come se quanto dalla protagonista del racconto Valentina trasmesso a Svetlana fosse storia sua. La scrittrice russa è formidabile nella scelta e nel montaggio delle testimonianze. Lo è, di più, della fedeltà con cui trasmette una registrazione che diventa pura e poetica invenzione. Ad Aleksievich non interessa raccontare fatti, né interpretarli. A lei interessano i sentimenti della gente che visse la tragedia di Cernobyl – che, dice, spaccò in due il mondo socialista prima e il mondo intero poi. In quanto alla Arvigo, arriva vestita con una tuta antisettica e una maschera antigas, presto se ne libera e con cautela, con modestia, con pudore – a piccoli passi ci costringe all’ascolto, anzi all’identificazione. Alla storia del suo sentimento, alla storia del suo dolore nella coscienza, impossibile, che il marito l’avrebbe lasciata per sempre, di lì a pochi giorni, non si può resistere.