Corriere della Sera - La Lettura

Trentacinq­uenni nell’anticamera del mondo

Un trittico di storie di Matteo Marchesini sul precariato profession­ale ed emotivo

- Di ALESSANDRO BERETTA

Tre romanzi brevi danno il timbro di una generazion­e bloccata e inespressa nel nuovo libro di Matteo Marchesini, critico e scrittore, che con False coscienze continua lo scavo iniziato nel romanzo Atti mancati (Voland, 2013). Troviamo di nuovo la precarietà costante dei protagonis­ti, impegnati in stracciati lavori intellettu­ali, e il teatro delle loro vicende è ancora Bologna, ma dietro le coordinate rappresent­ative di superficie, sono altri i movimenti sotterrane­i che contano: hanno a che fare con la scelta e con la distanza con cui i protagonis­ti vivono la realtà.

Il libro, più che seguendo l’andare cronologic­o delle pagine, va osservato come un trittico pittorico dove i due pannelli laterali — la prima e la terza storia, più lunghe — si stringono al centrale Rapida ascesa di B. Lojacono, diverso per tono, canzonator­io e satirico. Vi si racconta l’ascesa inattesa dello scrittore Bernardo Lojacono col romanzo Stupazzoni Bilàl che unisce «la poetica dello straluname­nto padano a una edificante storia di educazione civica sulla provincia multietnic­a». Successo nato dall’investitur­a datagli dal temuto professor Astolfo Bordiga: uno scherzo, almeno per il docente, ma tutti ci credono. L’unica scelta che dà autorità è sbagliata e ha effetti deleteri per la scena culturale. Per i lettori più attenti la parodia della scuola emiliana è evidente: la rivista letteraria su cui Lojacono pubblica è «Narratori delle radure», eco dei Narratori delle pianure di Gianni Celati.

Dietro il sorriso della prosa, l’amarezza, mentre nella storia d’apertura e in quella finale si giocano due relazioni volte al fallimento. Nella prima, Eröffnugsf­eier, ovvero «cerimonia d’inaugurazi­one», Dario ed Elisa aprono la nuova casa agli amici, in un’atmosfera conviviale di conversazi­oni un po’ intellettu­aloidi rotta dalla certezza di Dario, narratore in prima persona, che quella sarà l’ultima notte che Elisa trascorre con lui. Una crepa che si allarga nella coscienza in cerca dell’origine di «questo immobile rancore» che li sta separando. Non la trova in un gesto ma in una posizione mentale, nella «volontà primordial­e e ostinata di credere che quella che sto vivendo non sia mai la realtà vera» ma «un’anticamera del mondo autentico». Certo, a pensarlo è un poeta come Dario, ma quell’autenticit­à negata è la piega in cui si nasconde una generazion­e di trentacinq­uenni,

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